Sai qual è la chiave per comprendere davvero la causa scatenante dei capricci del tuo bambino e qual è la modalità migliore per intervenire?
Basterebbe iniziare con due semplici azioni:
- premurarsi di adottare un nuovo vocabolario che sia più idoneo e rispettoso nei confronti della persona (il bambino) che abbiamo di fronte, tenendo conto delle sue capacità cognitive e dei suoi bisogni relazionati all’età e alla fase di sviluppo
- ribaltare il paradigma secondo il quale il bambino inscena dei capricci volontariamente per ferirti o per ottenere qualcosa
I capricci dei bambini, soprattutto nella tanto temuta fase dei “terribili due” , sono uno dei temi caldi della pedagogia di sempre e ora andrò brevemente ma anche efficacemente a sfatare qualche mito, fornendoti nuove chiavi di lettura e offrendoti qualche spunto di riflessione in più da utilizzare all’interno della relazione col tuo bambino.
Cos’è un capriccio?
Come prima cosa vorrei portare la tua attenzione su quanto l’utilizzo di un termine piuttosto che di un altro possa fare la differenza e condurre i genitori verso un atteggiamento di apertura e accoglienza piuttosto che di chiusura e frustrazione, fino anche a generare stress e nervosismo, tanto in noi quanto nei nostri cuccioli.
Infatti, se apri un vocabolario Treccani o vai su Wikipedia troverai la stessa definizione di capriccio, ovvero: “Voglia o idea stravagante o bizzarra, perseguita, sia pure non a lungo, con ostinazione o cocciutaggine”.
Dicendo capriccio (ma la stessa cosa vale anche per il termine vizio) non dimostriamo alcuna attenzione al bambino intenso come persona unica con un proprio carattere e un suo diritto più che lecito di dimostrare una sua esigenza o una sua emozione.
Parlare di capricci con quest’accezione, soprattutto nella fascia 0-6 anni dei bambini, legandoli a comportamenti assurdi e insensati, quasi al limite della pazzia, è molto usato ma deriva da un retaggio educativo del passato, quello basato sull’ autorità più che sull’autorevolezza.
Io sono il genitore, sono l’adulto e mi impongo su te che sei piccolo e “tanto non puoi capire”. D’altra parte, al contempo e paradossalmente, sto dando al bambino dell’abile stratega se considero che quel “capriccio” è fatto apposta per ottenere qualcosa.
Noi genitori di oggi sentiamo sempre più spesso parlare di educazione dolce, positiva o rispettosa; alla fine generalizzando sono tutti approcci che spingono mamma e papà a empatizzare coi sentimenti del proprio bambino, accompagnandoli verso uno stato mentale di accoglienza e apertura, predisponendoli all’ascolto e alla compassione.
E ancora ti prego di notare la parola che ho scelto di usare e la sua etimologia: compassione, dal latino cum patior ovvero “soffro con” che ci porta ad assumere un atteggiamento comprensivo e soccorrevole verso uno stato di disagio e dolore, o talvolta di imbarazzo.
Quando provi un sentimento compassionevole sei predisposto a prenderti cura di chi sta soffrendo e agirai spinto dal desiderio di alleviare la sofferenza altrui.
Noti già come cambia tutto?
In questo caso noi vediamo l’altro, il suo mondo interiore e la sua difficoltà nell’ esplicitarla nei modi che noi riteniamo più consoni e che cambiano in base al luogo e al momento.
Allora facciamo un passetto indietro, a quando ti proponevo di non utilizzare più la parola “capriccio”; bene, con cosa la sostituiamo?
Possiamo parlare di crisi emotiva del bambino, il più delle volte è chiaramente uno scoppio rabbioso e quindi una crisi di rabbia.
Come comprendere meglio i “capricci” dei bambini
Possiamo quindi dire che tutto dipende dal tipo di occhiali che sceglierai di indossare.
Se quelli del passato, che tendono a non vedere il mondo interiore del bambino o comunque a svalutarlo, allora non avrai proprio modo di comprendere nulla… perché non sarei focalizzato su quello, vorrai solo farlo smettere di piangere e urlare quanto prima e allora molto probabilmente ti imporrai sul bimbo, magari urlando o minacciandolo con una qualche punizione.
Se invece decidi di cambiare terminologia e prospettiva, ribaltando il paradigma e indossando gli occhiali di un diverso stile educativo ti sorprenderai di ciò che vedrai: un bambino che si trova in un turbinio di emozioni che non sta riuscendo a controllare, ne è letteralmente travolto e stravolto. Non riesce a gestirle perché non le conosce, non sa cosa siano e a te spetterà il compito di spiegarglielo.
Che onore, che responsabilità e che fatica, certo!
Ecco allora che per comprendere questi capricci, queste crisi di rabbia, serve mettere al centro di questi episodi proprio il bambino e non l’adulto che si sente a disagio o inerme perché crede di essere preso in giro o sfidato e allora a sua volta, attacca e fugge. Fugge nel senso che non resta col bimbo e il suo disagio, non empatizza con lui…non prova quella compassione della quale abbiamo parlato prima!
Per aiutare a comprendere meglio cosa siano questi comportamenti del bambino, detti capricci vorrei contestualizzare e ricordare che stiamo parlando di bambini in fascia pre-scolare che stanno lentamente acquisendo a step un po’ tutte queste conoscenze:
- di essere al mondo
- di essere altro rispetto alla mamma
- di avere propri confini
- di provare emozioni, anche molto diverse tra loro
- di poter formulare ipotesi da testare
- di poter formulare pensieri da esprimere
- di ritrovarsi con desideri ed esigenze opposte a quelle di mamma e papà
- di dover seguire anche delle regole, a volte proprio strane…ammettiamolo
Insomma, il bimbo sta imparando a navigare su onde alquanto impervie e improvvise.
Forse allora non sono voglie bizzarre ma sorprese, scombussolamenti da un lato o anche semplicemente richieste di aiuto ed esternalizzazioni di un’emozione che li ha spiazzati e alla quale non sanno né dare un nome, né tanto meno gestire.
Ricordiamocelo! Perché quando si dice che il bambino è competente non si intende dire che è un adulto in miniatura; bensì che è dotato di tutto l’armamentario di serie teso all’apprendimento, ma va accompagnato in questo processo, mettendo a sua disposizione un ambiente potenziante che possa far emergere le sue competenze che saranno necessariamente diverse a seconda dell’età di sviluppo e della sua indole.
Cosa fare per gestire il “capriccio”
Il bambino ha bisogno dell’adulto per dare un nome al tumulto di emozioni che vive, per identificarle e riconoscerle.
Tuo figlio, almeno fino ai ¾ anni non ha proprio la capacità cognitiva di manipolare i tuoi pensieri e di inscenare comportamenti finti con lo scopo di ottenere qualcosa.
Quindi quando esplode in pianti disperati o si mette a urlare al parco perché non vuole tornare a casa o si butta a terra e inizia a sbattere i piedi… beh, vedendolo come un adulto in miniatura viene da pensare che non lo dovrebbe fare… va punito perché sta esagerando… sta inscenando un comportamento per ottenere qualcosa… ha premeditato tutto e lo sta facendo apposta per manipolare te e la tua mente.
Ti sta sfidando.
Ecco perché secondo me diventa importante riportare al centro il bambino senza vederlo come un piccolo uomo ma come un uomo in divenire… e il tipo di adulto che sarà dipenderà anche dal tuo modo di reagire di fronte a queste sue crisi.
Il capriccio non è finzione, non ha scopi manipolatori e non ha intenzione di metterti volutamente a disagio o farti sentire inadeguata… no, il bambino sta esprimendo un suo bisogno che alla fine non è altro che una richiesta di socializzazione, o sarebbe meglio parlare di richiesta di relazione.
La cerca con lo sguardo, la cerca col pianto, la cerca col corpo; ovvero con le modalità che meglio conosce, tanto più se ancora non verbalizza bene ma anche dopo e per lungo tempo resteranno queste.
La parte razionale del cervello e quella che ti permettono di astrarre il pensiero sono l’ultima parte del cervello a terminare la totale maturazione, sai quando finisce? Attorno ai 25 anni. E quando inizi? Dai 4 anni circa…e di strada ne dovrà fare, eh!
Ricordiamoci allora di accogliere il disagio e di cercare di comprenderne la causa scatenante, questo accade solo quando riusciamo a sintonizzarci col sentire del nostro bambino senza inutili giudizi che offuscano la naturale capacità di noi genitori di comprendere i nostri figli nel profondo.
Forse ti sei trovata in una situazione di queste
In conclusione vorrei solo portarti a pensare ai momenti in cui il tuo bambino mette in atto questi comportamenti, definiti capricciosi.
Ti riporto degli esempi solo a titolo esplicativo:
- “appena lo metto giù inizia a piangere, lo fa apposta!” forse sta solo esprimendo un bisogno, un disagio o una preferenza? Preferisce le tue braccia al freddo lettino, suvvia questa cosa dovrebbe anche farci piacere no?
- “ho amici a cena e continua a frignare per attirare l’attenzione” sì, ci sta, i bambini in questa fase hanno un forte ego ma più che altro per svilupparsi al meglio hanno proprio bisogno di socializzazione e la ricercano con tutto il loro essere
- “gli ho detto mille volte di non toccare la presa e lui ci va apposta, vuole sfidarmi” ma no, è in esplorazione e desidera comprendere te e le tue reazioni oltre che conoscere i propri limiti d’azione
- “siamo a tavola e continua a buttare a terra il cucchiaio, sapendo che non voglio” beh, sta facendo esperienza del mondo per conoscere le forze che lo regolano
- “siamo al parco da 2 ore e bisogna tornare a casa, appena lo prendo si butta giù e inizia a piangere” effettivamente se ci pensiamo è molto più divertente stare a giocare al parco piuttosto che tornare a casa senza tutti quei giochi e amichetti, suvvia!
Attraverso i “capricci” il bambino cerca di mettersi in relazione con te, sta cercando di comunicarti qualcosa e il tuo compito da genitore non è giudicare e colpevolizzare questo suo comportamento ma piuttosto dovresti cercare di comprenderlo.
E allora come farlo realmente? Partendo da una base, che se vuoi è un’ovvietà ma non sempre è così automatico: quando parli col tuo bambino avvicinati e mettiti alla sua altezza, entra nel suo campo visivo per potervi guardare negli occhi e per ascoltarvi davvero; cerca di mantenere un tono calmo, autoritario se devi tornare a casa (tipo l’ultimo esempio) ma accogliente e comprensivo (sempre per l’ultimo esempio, verbalizzando al piccolo che capisci il suo desiderio di restare ma che purtroppo è tempo di tornare a casa).
Fagli sentire che ci sei, legittima le sue emozioni, abbraccialo e se non vorrà – magari quando cresce vorrà il suo spazio anche per piangere e buttar fuori la frustrazione – rispetta questa sua esigenza. Più tardi avrete modo di parlarne, verbalizzare per spiegare quel che è successo e quali sentimenti potrebbe aver provato il bimbo; questa parte del processo è fondamentale per il suo sviluppo perché ha necessità di una etero-regolazione per comprendersi e per conoscersi a fondo.
Se ti stai chiedendo: “ma allora vedi che lo fa apposta per ottenere qualcosa? La mia attenzione, il restare al parchetto o altro”. Sorrido e ti dico sì! Ma attenzione, non c’è uno scopo manipolatorio in tutto questo bensì solo un sano comportamento fisiologico chiamata anche “motivazione”.
E ancora torno lì, all’etimologia delle parole: motivazione, motivo ad agire verso qualcosa di tanto desiderato che può essere per l’appunto, altro tempo per giocare, bisogno di accudimento materno, voglia irrefrenabile di scoprire il mondo, desiderio di relazionarsi con qualcuno… o anche sì, di entrare in possesso di quello specifico oggetto.
Non giudichiamo il bambino, e in questo caso nemmeno il suo comportamento.
Focalizzati sul cercare di empatizzare col suo sentire, spiega che hai compreso il suo disagio e poi magari verbalizza ciò che è successo; in questo processo potranno esserti di aiuto alcune letture incentrate proprio a indagare e a scoprire il mondo dei sentimenti e delle emozioni rese semplici e chiare ai piccolini di casa.
Se vuoi approfondire il tema dei capricci e del come affrontarli al meglio, contattami per una consulenza o segui il mio percorso BabyBrains che esplora proprio i temi legati allo sviluppo cognitivo del bambino.