La musica ascoltata fin dai primi giorni di vita (e comprendiamo quindi tutta la fase intra uterina) ha molteplici effetti benefici sullo sviluppo psico-neuro-motorio del bambino perché di fatto quel che rappresenta un continuum tra il dentro e il fuori è proprio la voce e in particolare quella di mamma che viene percepita sia come sonorità endogena sia come sonorità esogena in grado di accompagnare tutto il tempo dell’attesa fino a dargli un senso.
Ed è proprio questa sonorità a rappresentare quella musica dei primi giorni del feto poi neonato, un filo rosso che lo accompagna e lo favorisce nel suo adattamento alla vita extra-uterina.
Questa sonorità è di supporto allo sviluppo che è qualcosa di distinto dalla crescita perché non misurabile attraverso carte auxologiche e percentili.
Lo sviluppo riguarda la qualità degli stimoli e dell’ambiente all’interno del quale si verifica la crescita; e tutto questo favorisce lo sviluppo neurale del bimbo.
Maria Montessori parlava di quanto fosse importante creare un ambiente che potesse far emergere le potenzialità di un cervello in sviluppo, dalla plasticità neurale altissima e da una predisposizione innata ad assorbire quanto gli si propone.
Cantate ai vostri piccoli fin da subito, fin dalla pancia
Il potere della musica è universalmente riconosciuto e consiste nel riuscire a collegare pensieri, vissuti ed emozioni provate anche passate; ha la capacità di predisporci in uno stato d’animo particolare che possa emozionarci e questo accade perché in maniera non intenzionale o controllata la musica riesce a comunicare direttamente col nostro cervello arcaico, quello limbico delle emozioni.
La musica arriva direttamente in una parte del cervello che soprattutto nei bambini è predominante, loro sono cervello rettiliano – legato alla sopravvivenza ovvero quello dei bisogni primari – e cervello emozionale.
Tutta la parte di neocorteccia si svilupperà col tempo (dai 3 anni circa fino ai 20, ne parliamo durante gli incontri BabyBrains) e quindi attraverso la musica riusciamo sicuramente a entrare più facilmente in relazione con loro, è come se parlassimo lo stesso linguaggio.
Anzi, addirittura per Alfred Tomatis – otorinolaringoiatra francesce che ha esplorato importanti studi su relazione suono e vita prima della nascita – la voce materna è l’unica semantica che il feto conosce e la semantica è la scienza dei significati e torniamo alla voce che regala un senso all’attesa del feto.
Voce è presenza
E attraverso la voce si veicolano molte emozioni che spesso sarebbe quasi impossibile fare altrimenti o che magari cerchiamo di celare e di zittire con la nostra parte razionale.
Perché cantare?
Per re-stare in comunicazione con lui, per conoscerlo e farci conoscere tanto dalla pancia quanto fuori anche se chiaramente il tutto avverrà in modalità diverse.
Tuttavia nel tempo tutti i nostri organi di senso saranno coinvolti, i nostri e quelli del piccolo, chiaramente.
Infatti mentre canterete, vi troverete in maniera del tutto naturale a:
- Dondolare col corpo e al contempo muoverete lui o lo accarezzerete usando il senso del tatto
- Avvicinarvi a lui per sentirne l’odore
- A guardarlo negli occhi mentre lui si perderà nei vostri
- usare il volto per amplificare quanto starete comunicando e lui vocalizzerà, osserverà e vi darà feedback che nutriranno la vostra interazione con lui, modificandola
e qui entra in gioco il concetto di specchio sonoro come amplificatore di un “semplice” specchio visivo o come dice lo psicologo Daniel Stern, attraverso il canto al bambino si attiva un dolcissimo duetto d’amore che aiuta il piccolo nella costruzione di un sé integrato di cui parla anche il pediatra Donald Winnicott. Attraverso un canto-gioco si resta in connessione e osservazione del piccolo e si rimodulano le nostre interazione di continuo in base alle sue reazioni/richieste.
Questo dialogo contribuirà a farlo sentire accettato e capace di esprimersi, lo aiuteranno nel suo processo di distinzione e relazione.
Ecco che è stato spiegato come la musica può supportare a livello psicologico-emozionale.
Le emozioni affondano le proprio radici nella nostra memoria a lungo termine e implicita, quella nella quale risiedono i nostri MOI (modelli operativi interni, e anche di questo parliamo nei lab BabyBrains in particolare nel primo e ultimo incontro) che sono nient’altro che la serie di automatismi che ci portano ad agire nel mondo.
Come si sviluppano i sensi durante la gestazione?
Le nostre “grammatiche generative” non sono altro che i nostri 5 sensi perché appunto l’esplorazione del mondo di feto e neonato avviene inizialmente attraverso di essi.
Ma come si sviluppano in epoca fetale?
Il primo senso che appare è quello del gusto dall’8 settimana e anche lui regala un senso di continuità, come del resto tutti i sensi, tra il dentro e il fuori.
Alla fine del primo trimestre troviamo l’olfatto che sarà importantissimo soprattutto durante le famose golden hours, con la scalata al seno di mamma per ritrovare ristoro e conforto appena dopo la nascita.
La vista in verità è l’ultimo senso a svilupparsi, dalla 28esima settimana e si completerà addirittura 3 mesi post nascita.
Abbiamo poi il tatto che appare già dalla 14esima settimana di gestazione e il feto è in costante stimolazione sensoriale tattile poiché avvolto dal liquido aminiotico, toccato dal funicolo e dalla placenta, e circondato dalle pareti uterine.
Ed eccoci al senso dell’udito che inizia a svilupparsi dal 2 mese di gestazione per concludersi nel 6.
Senso dell’udito e del tatto sono strettamente connessi perché in pancia il suono sarà per lo più percepito attraverso una percezione di contatto grazie alle vibrazioni che passeranno attraverso il liquido amniotico.
La voce di mamma e voce di papà
Durante la gestazione i suoni possono essere distinti in esogeni o endogeni a seconda della fonte di emissione.
In particolare possiamo classificare come suoni endogeni quelli che arrivano dal corpo di mamma come:
- battito del cuore,
- flusso ematico,
- brontolii vari,
- respiro e
- voce stessa
E poi ci sono i suoni esogeni che arrivano dall’esterno e che regalano esperienze di un qualcosa che sta fuori o di qualcuno che ci aspetta, il papà.
Inoltre, la voce di mamma e di papà hanno caratteristiche diverse e funzionalità distinte; sicuramente il papà avrà maggiori difficoltà a cantare al pancione ma ne trarrà importanti benefici a livello di attaccamento e quindi di relazione col piccolo.
Inoltre, cantare al proprio bambino e farlo fare anche al papà è utile per favore un armonico sviluppo motorio ma vediamo come.
Grazie agli studi in particolare della Aucher ma poi supportati anche da Leboyer, si è visto come le vibrazioni alte della voce femminile andassero a influire benevolmente soprattutto sulla parte alta del corpo (nuca e arti superiori) mentre quella paterna tocca più facilmente la parte bassa.
I bimbi con mamme canterine acquisivano precocemente un controllo del capo mentre chi aveva goduto dei canti di papà risultava più agile a livello motorio.
E ancora, le due voci scatenano un rilascio ormonale di adrenalina in direzione del capo e quelle di papà, del tronco e gambe.
A quanto sopra possiamo inoltre aggiungere che il corpo di mamma fa da perfetta cassa di risonanza grazie al liquor all’interno della colonna vertebrale e poi ci sono le ossa della colonna stessa che amplificano tutto, in concerto con le ossa di bacino.
Direi che abbiamo brevemente visto quali sono i motivi per cantare al proprio piccolo fin dai mesi di gestazione e per tutto il tempo che vorremo poi; oltre a quanto già detto, attraverso il canto si facilita l’acquisizione del linguaggio e si costruisce la relazione più importante della nostra vita.
Se vuoi approfondire il discorso, ti invito a seguire il mio percorso on demand La musica dei primi giorni